Non tutti conoscono la third wave: ecco come un piccolo e stiloso caffè nella città più gourmand di Francia avvicina i clienti al mondo delle monorigini.
Signé è un piccolo caffè con un’estetica minimalista ed elegante nel centro di Lione in cui domina il tondo (i tavolini, il grande specchio alla parete di fondo). A prima vista potrebbe essere un bar da aperitivo o un bistrot, invece è una caffetteria che sta lavorando per avvicinare il caffè specialty a un pubblico abituato sì alla buona cucina, ma forse un po’ meno alle sottigliezze e alle sfumature, come si scopre dopo una deliziosa e inevitabilmente greve cena in un bouchon, le trattorie tipiche cittadine.
Perché se è vero che Lione è la città del grandioso Paul Bocuse, padre dell’haute cuisine (ma svezzato in cucina da una “mère” lionese, Eugénie Brazier) e che l’interesse per la cucina qui è diffuso a tutti i livelli, quanto al caffè la città è un acquisto relativamente recente nel panorama della “Terza Onda” (vedi cos’è la terza onda del caffè).
Ne parliamo con Fabien Zucconi, ex chef (non a caso, scopriremo) cogliendo una delle rare pause (è solo in caffetteria) mentre è indaffarato dietro al bancone a preparare espressi e cappuccini. La clientela? Di tutto un po’, dalla “sciura” lionese alla manager in tailleur d’ordinanza.
Ci racconti della scena del caffè specialty a Lione?
In Francia c’è sempre più interesse verso i caffè specialty. Ma c’è ancora molta strada da fare. A Lione ci sono sempre più torrefattori e caffetterie specialty, non come a Parigi e Bordeaux ma stiamo iniziando. Ci sono cinque torreffattori e una trentina di caffetterie specialty, molte puntano anche sul cibo. Questa caffetteria è legata alla nostra torrefazione, Extrait: facciamo tutto “in casa”.
Qui il caffè si beve e si vende, anche. Guardando i pacchetti esposti, vedo che ci sono quattro “famiglie” di colori, ci spieghi come funziona?
A ogni famiglia corrisponde un profilo aromatico: cioccolatoso, floreale, agrumato eccetera. Ognuno ha delle preferenze, noi lavoriamo molto sul gusto, forse perché sono partito come cuoco. Le monorigini ruotano ma conoscendo la propria famiglia si può scegliere la novità che probabilmente apprezzeremo di più. È un modo di educare il consumatore. Il cliente ama cambiare, restando però nello stesso genere di profilo.
Come ti è venuta l’idea di aprire una caffetteria?
Ero cuoco, lavoravo in un grande ristorante ed ero molto interessato al caffè. Ho iniziato a ricercare e a un certo punto ho deciso e mi sono buttato.
Dove vi approvvigionate?
Abbiamo caffè 100% Arabica ma lo peniamo dappertutto, anche se ci sono produttori con cui lavoriamo da tempo, come quelli dell’espresso che avete bevuto: viene dal Salvador che fa dei lotti appositamente per noi. Su certe cooperative e terroir invece cambiamo di volta in volta.
Cosa ne pensi dell’apertura de la Cité Internationale de la Gastronomie [il museo-hub gastronomico appena aperto in centro città con l’obiettivo di parlare di cibo (buono) e salute, ndr]?
Penso sia una cosa buona, come tutto ciò che spinge le persone verso la qualità e la riflessione su ciò che mangiano.
E il caffè che beviamo, aggiungiamo noi!
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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