Lo chef di Joia
dice la sua
sul chicco di Coffea:
ha ripreso a “frequentarlo” (e usarlo nella sua cucina) quando è diventato tracciabile
e sostenibile
Prendere una stella Michelin facendo cucina vegetariana nel 1996 era un’impresa ardua, quasi impossibile. Poteva riuscirci solo Pietro Leemann, tanto che, primo in Europa, in Italia ad oggi è ancora l’unico. Il suo Joia ha festeggiato l’anno scorso i trent’anni di attività ed è ancora un posto speciale. Grazie a quel mix unico di creatività e rigore e soprattutto coerenza che ha reso la cucina dello chef svizzero sana, bella e buona, nel rispetto della natura e delle persone.
Con Leemann si può parlare di tutto, con la certezza di non ottenere risposte banali o scontate. Segno di chi sulle cose è abituato a riflettere. Siamo allora andati nel suo ristorante milanese di via Panfilo Castaldi per una chiacchierata sul caffè.
Come entra il caffè nell’universo Leemann?
Il caffè ha avuto un’evoluzione nella mia vita, nel senso che l’ho consumato regolarmente in passato, poi per vari motivi ho smesso di berlo fino a quando si è trasformato ed è diventando un elemento culturale. Trovo che il caffè bevuto la mattina perché bisogna partire non sia abbastanza, cerco di fare sì che ciò che bevo e mangio abbia un senso per la mia vita, per la mia salute e per quello che è giusto per me. Quanto al caffè, era importante per me sapere quello che succedeva nel mondo, nelle sue speculazioni: mi sono riavvicinato quando le aziende hanno cominciato a considerare l’aspetto etico, quando è nata l’attenzione a che venisse rispettato e valorizzato il coltivatore e anche il prodotto stesso, perché il caffè era uno dei prodotti più inquinati insieme al cioccolato. Ed è un paradosso perché cacao e caffè sono i due ingredienti aromatici più consumati al mondo, quindi una correzione in quella direzione per me era indispensabile.
Personalmente lo bevo quando ha un senso, non lo lego a un’esigenza funzionale. Non bevo il caffè e nemmeno il tè quando sono stanco, ma quando voglio ricercare il piacere.
Che tipo di estrazioni prediligi?
Preferisco il cold brew, il caffè macerato a freddo, perché estrae tutte le tonalità aromatiche che vanno oltre il tostato o l’acidità, esalta note sottili molto interessanti e stimolanti. D’inverno scelgo l’infuso per il calore, ma anche il cold brew può essere scaldato e se non si superano certe temperature mantiene le sue caratteristiche organolettiche.
Hai preferenze sulla tipologia?
In Italia il caffè viene tostato scuro, io lo preferisco come si degusta in Francia, dove la tostatura è meno spinta e l’acidità, che con la estrazione dell’espresso è un difetto, con il cold brew diventa un valore perché è un elemento di contrasto. Anche la mia cucina è fatta di contrasti.
Appunto, come lo usi in cucina?
Il caffè trovo sia entrato in questa nuova prospettiva di gusto, come il cacao che era originariamente usato come spezia anche il caffè sta entrando in cucina come elemento che si sposa benissimo anche con il salato. Abbinato al risotto è buonissimo e per una stagione lo abbiamo fatto, e si sposa molto bene con il parmigiano, non è più pensato come caffè ma come spezia aromatica.
Il problema con il mondo salato è che si può andare su una nota più tostata o più aromatica ma il palato percepisce meno la sottigliezza tra una tipologia di caffè e l’altra. Il caffè per esprimersi ha bisogno di essere liquido: non l’ho mai fatto ma mi viene in mente ora e potrebbe essere molto molto interessante fare un brodo aromatizzato al caffè. Un piatto orientale con all’interno il caffè potrebbe dare una prospettiva nuova.
Una caratteristica aromatica che trovi più interessante del caffè nella tua cucina?
Essendo poco persistente uno lo assaggia, poi se è buono rimane a lungo, c’è questa bella sensazione che evocativamente piace perché è anche simbolo dello stare insieme, la persistenza ci accompagna, ci dà un sentimento di rilassatezza nonostante il caffè sia un eccitante.
Un aspetto che stiamo riflettendo con Lavazza è che il caffè non è tanto giovane, la fascia dai 30 in giù non lo beve, vogliamo ringiovanirlo. Staccandolo da un certo modello di italiano alla Sordi perché il caffè ha ancora un po’ quella immagine. In fondo il caffè è una cultura che va acquisita, un po’ come il vino.
Ultima domanda: che caffè proponi nel tuo ristorante?
Abbiamo l’espresso, la French Press e ci stiamo organizzando per il cold brew, la mia seconda preferenza col filtro è il Chemex. E naturalmente abbiamo una carta dei caffè.
Indirizzo:
Joia
Via Panfilo Castaldi, 18
Milano
http://www.joia.it/
Pietro Leemann ci ha regalato per il libro Mondo Caffè ben due ricette che hanno tra gli ingredienti l’oro nero che preferiamo: Omaggio a Gualtiero Marchesi e Macondo.
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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