L’AD Massimiliano Pogliani riflette su prezzo della tazzina, riapertura dei bar, ritorno alla socialità caffeinica e sui lasciti della pandemia nel modo di fruire la tazzina.
Il 3 giugno bastava entrare in un bar (in tutta Italia oltre 3000 bar hanno aderito all’iniziativa) e chiederlo per avere una tazzina di caffè espresso, gratis. Una sorta di estensione nazionale ed ecumenica del rito napoletano del caffè sospeso, in fondo. Siamo andati a testare la tenuta dell’iniziativa all’Illy bar di via Monte Napoleone a Milano, dove abbiamo incontrato l’Ad della torrefazione che per prima a fatto del brand 100% Arabica e della qualità una bandiera, tra Mascherine e misurazioni di temperature, abbiamo chiacchierato con Massimiliano Pogliani, dei temi caldi del momento.
Ci spiega il senso dell’iniziativa “Offriamo noi?”?
Fino a ieri ci siamo concentrati sulle modalità della riapertura, ora abbiamo pensato fosse importante stimolare la parte della domanda ovvero: quando tutti i i bar e i ristoranti saranno aperti la gente ci andrà? Tutto ci siamo abituati a stare a casa, era importante invitare con un gesto simbolico a tornare al bar preferito.
Si dovrà ritrovare il piacere di consumare il caffè non solo a casa…
Col tempo si ritornerà ad associare l’esperienza del caffè preso al bar qualcosa di diverso da quello preso a casa. Sono due esperienze diverse, il caffè al bar è un momento di socializzazione, in Italia prendiamoci un caffè vuol dire tutto: vediamoci, parliamone, rincontriamoci.
Cosa ne pensa della recente (e ricorrente) polemica sul prezzo della tazzina?
Io sposterei l’attenzione sulla qualità, i bar d’Italia nel post Covid dovranno farlo, trovare una ragione diversa al consumo del caffè. Tutti si preoccuperanno per la salute un po’ di più quindi i locali dovranno mostrare come gestiscono questa situazione anche al di là delle regole imposte, per differenziarsi. Lavorare su esperienze diverse costa soldi e fatica così come investire sul punto vendita, e questo deve essere riconosciuto e premiato dal consumatore. In Italia che è la patria dell’espresso la tazzina costa meno che nel resto del mondo, se vuoi un espresso buono dovresti essere disposto a pagarlo un po’ di più.
Però il caffè è percepito come una commodity, come il pane: un prodotto essenziale che tutti devono poter acquistare
Però anche il pane ha tanti prezzi diversi, chi vuole avere un altro tipo di esperienza non lo paga come una michetta. È una questione culturale. Prendiamo il vino: ha una storia più antica ma c’è anche più cultura nel consumatore medio che è in grado di riconoscerne i difetti maggiori, che un vino sa di tappo anche chi beve poco vino bene o male lo riconosce. Oggi ci sono in certi bar caffè fortemente difettati che la gente consuma perché ha il palato abituato a quel tipo di sentore che non è un pregio ma un difetto del caffè. Non sapendo distinguere tra un caffè buono e uno cattivo, ci si appiattisce sulla questione del prezzo, deve costare poco perché tanto è un caffè. Invece quando uno comincia a gustare un caffè buono e poi torna a quello cattivo poi capisce la differenza. Noi speriamo che chi investe in qualità abbia un ritorno che giustifichi l’investimento, altrimenti alla fine chi ci perde è il consumatore. I bar hanno costi da recuperare, affitti e persone da pagare, e ora questi costi si incrementeranno perché avranno meno spazi a disposizione e più norme da rispettare. Spingere i nostri bar preferiti a tenere il prezzo più basso possibile farà scendere la qualità. E non del resto stiamo parlando di prezzi stratosferici.
Che eredità lascerà l’emergenza del Covid-19 sul caffè?
Fare delle previsioni è difficile, anche noi manager che gestiamo le aziende ci siamo trovati davanti a una situazione del tutto nuova. Però ho notato che il Covid è diventato acceleratore di due tendenze che ci stanno molto a cuore. Una è la sostenibilità, e per l’azienda è una conferma di un percorso di lunga data. Storicamente abbiamo con rapporti di lunga durata con il nostro network di produttori, non solo per sostenere le comunità locali ma anche per garantirci una qualità costante. Sostenibilità e qualità vanno di pari passo per noi.
Avete notato problemi fi approvvigionamento della materia prima?
Per ora no, siamo coperti tranquillamente dalle ampie scorte di caffè verde che abbiamo a Trieste, è necessario perché produciamo un blend unico e costante tutto l’anno. Non abbiamo visto per ora grossi shock. La materia prima a Trieste ci mette al sicuro. E abbiamo pieno controllo su stoccaggio e conservazione.
Il secondo aspetto?
Il Covid attuerà una democratizzazione del digitale, che in questo periodo è passato da essere appannaggio delle nuove generazioni a essere usato da tutti, per le relazioni personali, per il lavoro e anche per gli acquisti. Con l’e-commerce abbiamo avuto un picco di vendite e siamo riusciti a gestirlo perché eravamo già preparati,e anche con lo smart working in azienda grazie a un piano attivato l’anno scorso.
Massmiliano Pogliani e la locandina dell’iniziativa.
Cosa ne pensate della polemica sul prezzo della tazzina?
Io sposterei l’attenzione sulla qualità, i bar d’Italia nel post Covid dovranno farlo, trovare una ragione diversa al consumo del caffè. Tutti si preoccuperanno per la salute un po’ di più quindi i locali dovranno mostrare come gestiscono questa situazione anche al di là delle regole imposte, per differenziarsi. Lavorare su esperienze diverse costa soldi e fatica così come investire sul punto vendita, e questo deve essere riconosciuto e premiato dal consumatore. In Italia che è la patria dell’espresso la tazzina costa meno che nel resto del mondo, se vuoi un espresso buono dovresti essere disposto a pagarlo un po’ di più.
Però il caffè è percepito come una commodity, come il pane: un prodotto essenziale che tutti devono poter acquistare
Però anche il pane ha tanti prezzi diversi, chi vuole avere un altro tipo di esperienza non lo paga come una michetta. È una questione culturale. Prendiamo il vino: ha una storia più antica ma c’è anche più cultura nel consumatore medio che è in grado di riconoscerne i difetti maggiori, che un vino sa di tappo anche chi beve poco vino bene o male lo riconosce. Oggi ci sono in certi bar caffè fortemente difettati che la gente consuma perché ha il palato abituato a quel tipo di sentore che non è un pregio ma un difetto del caffè. Non sapendo distinguere tra un caffè buono e uno cattivo, ci si appiattisce sulla questione del prezzo, deve costare poco perché tanto è un caffè. Invece quando uno comincia a gustare un caffè buono e poi torna a quello cattivo poi capisce la differenza. Noi speriamo che chi investe in qualità abbia un ritorno che giustifichi l’investimento, altrimenti alla fine chi ci perde è il consumatore. I bar hanno costi da recuperare, affitti e persone da pagare, e ora questi costi si incrementeranno perché avranno meno spazi a disposizione e più norme da rispettare. Spingere i nostri bar preferiti a tenere il prezzo più basso possibile farà scendere la qualità. E non del resto stiamo parlando di prezzi stratosferici.
Che eredità lascerà l’emergenza del Covid-19 sul caffè?
Fare delle previsioni è difficile, anche noi manager che gestiamo le aziende ci siamo trovati davanti a una situazione del tutto nuova. Però ho notato che il Covid è diventato acceleratore di due tendenze che ci stanno molto a cuore. Una è la sostenibilità, e per l’azienda è una conferma di un percorso di lunga data. Storicamente abbiamo con rapporti di lunga durata con il nostro network di produttori, non solo per sostenere le comunità locali ma anche per garantirci una qualità costante. Sostenibilità e qualità vanno di pari passo per noi.
Avete notato problemi fi approvvigionamento della materia prima?
Per ora no, siamo coperti tranquillamente dalle ampie scorte di caffè verde che abbiamo a Trieste, è necessario perché produciamo un blend unico e costante tutto l’anno. Non abbiamo visto per ora grossi shock. La materia prima a Trieste ci mette al sicuro. E abbiamo pieno controllo su stoccaggio e conservazione.
Il secondo aspetto?
Il Covid attuerà una democratizzazione del digitale, che in questo periodo è passato da essere appannaggio delle nuove generazioni a essere usato da tutti, per le relazioni personali, per il lavoro e anche per gli acquisti. Con l’e-commerce abbiamo avuto un picco di vendite e siamo riusciti a gestirlo perché eravamo già preparati,e anche con lo smart working in azienda grazie a un piano attivato l’anno scorso.
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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