Lo chef de l’Imbuto ci dice come usare il chicco di Coffea in cucina e perché noi italiani, sottovalutandolo, ci stiamo perdendo un mondo. E spiega la differenza tra cucina scopativa e masturbativa (scegliete voi quale vale la pena incontrare)
Lingua al caffè e nocciole fritte
Cristiano Tomei non è solo uno chef stellato e televisivo (“La prova del cuoco” e “Masterchef Magazine”, “I re della griglia”, “Cuochi d’Italia” con Alessandro Borghese e Pupi & Fornelli), un cuoco autodidatta e uno che con il suo ristorante, L’Imbuto, è passato da una falegnameria ristrutturata a Viareggio a una villa con giardino nel centro di Lucca. Cristiano Tomei è anche un grande appassionato di caffè. La prima volta lo abbiamo incontrato fuori da Trippa a Milano, e parlando del chicco di Coffea – come spesso ci accade – ci aveva spiazzato dicendo: “il caffè in cucina è importante certo, ma a usarlo in polvere son buoni tutti, andrebbe invece usato in infusione”.
Un’affermazione che ci aveva messo un tarlo in mente tanto che abbiamo deciso di approfondire. Complice anche la Masterclass organizzata insieme a Julius Meinl in cui Cristiano ha cucinato cinque portate in cui uno degli ingredienti era sempre il caffè, infuso. (Per inciso: queste box da fare a casa non son mica semplici eh, io che non sono un gran che in cucina correvo da una parte all’altra e ho prodotto un risotto buonissimo ma crudo e una pasta troppo croccante. Fare lo chef è un duro lavoro, sappiatelo. Per i più svegli la box è comunque disponibile fino ad ottobre). poi abbiamo voluto saperne di più.
Che c’azzecca il caffè con la cucina?
C’è una ragione per cui è così importante: è un gesto primordiale. La tostatura ci riporta nelle caverne, quando abbiamo cominciato a cuocere i cibi, e questo è vero nel caffè come nel pane. per questo anche chi non lo beve rimane affascinato dal suo aroma. Succede anche con lo champagne e i suoi sentori di crosta di pane. In più, il caffè viene anche dal bosco. Non solo: la tostatura è un amplificatore di sapori. La polverina di caffè sullo scampo crudo tira fuori tutte le note marine.
E in infusione?
Dà effetti molto interessanti con gli ingredienti che si riconducono al bosco come i funghi, i pinoli, le erbe selvatiche, la selvaggina. L’importante quanto si usa nel salato è non abbinarlo ai latticini per evitare un fastidioso “effetto cappuccino”.
Sopra Chef Tomei durante la masterclass e il mitico riso all’olio, caffè e basilico
Però c’è caffè e caffè…
Certo tutto è correlato alla qualità e alla tipologia, ci sono caffè più dolci, più speziati, più amari. Bisogna provare, divertirsi e pensare che è un ingrediente interessante. Non si può fare tutto, ma il potenziale è enorme. Quando è la stagione i porcini li cuocio nel caffè e metto un burro di arachidi sopra, sono sapori che si aiutano a vicenda.
Mentre il riso al basilico (uno dei piatti della box “A cena col caffè”) che propongo al ristorante disorienta al primo boccone perché si cerca il fungo che non c’è, poi coinvolge e diventa una specie di droga. C’è dietro una ricerca ma è un piatto prima di tutto appetitoso, non cerebrale: io non amo la cucina masturbativa ma quella scopativa. E poi è vegano, così son tutti contenti
Sei anche tu stufo dei vegani?
No (ride) non ce l’ho con i vegani ma detesto quei piatti a base di tofu e hamburger vegetali, basterebbe pescare dalla tradizione della cucina regionale italiana che è piena di piatti vegani buonissimi, come la pappa al pomodoro
Che tipo di caffè proponi al ristorante?
Da sempre sono un fortissimo sostenitore della moka al ristorante, che sparge quel profumo che fa tanto famiglia. Ho anche una macchina per l’espresso e propongo due miscele completamente diverse, una più acida che pulisce la bocca, e le ragazze in sala introducono a chi sembra più ricettivo (e che una volta provata dice “che è sta cosa?” ma poi apprezza) e una più “italiana”. Il caffè è un ricordo importante, quando si beve fuori casa va reso più famigliare senza però banalizzarlo. Da me non c’è un menu à al carte puoi scegliere solo il numero di portate e dichiarare eventuali intolleranze, il coinvolgimento è importante ma non bisogna essere didascalici.
Chi fa il caffè da te?
Ho due persone che sono state formate da Julius Meinl e una macchina per espresso costantemente monitorata. Il problema del caffè al ristorante è uno solo: in Italia non si capisce che fare il caffè è un mestiere, non è una cosa per niente semplice. È la stessa differenza che passa tra fare da mangiare o cucinare: quando cucini entrano in gioco tante variabili, un cuoco vero si mette a nudo, conosce le tecniche base ma vuole anche rompere i dogmi. E magari scopre ad esempio che tre grassi insieme puliscono la bocca. Il caffè in Italia è un dramma, pensiamo di essere i migliori poi vai in Etiopia, prendi un caffè all’aeroporto e rimani folgorato.
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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