La presidente di SCA, Specialty Coffee Association, parla di come ritorneremo al bar e lancia l’allarme: la Covid-19 sta impattando su tutta la filiera. E se oggi ci manca il caffè al bar, in futuro potrebbe mancare la materia prima
Christina Meinl è la presidente di SCA, Specialty Coffee Association. Appartenente a una famiglia di torrefattori austriaci sul mercato dal 1862 come Julius Meinl, ha anche uno sguardo sul “Vecchio Mondo” del caffè, quell’Europa in lockdown le cui abitudini sono state stravolte e che, lentamente e con difficoltà, sta tornando al lavoro. Le abbiamo chiesto di darci una visione globale degli effetti della pandemia sul mondo del caffè. Un mondo che, da sempre, è una cartina a tornasole degli scambi e delle culture, degli stili di vita e dei rapporti tra il Nord e il Sud del Pianeta.
Partiamo dall’Austria, dove lei si trova, com’è la situazione?
I ristoranti e i bar apriranno il 15 di maggio, aprirà tutto tranne gli alberghi. Nei caffè dovranno indossare le mascherine solo i camerieri ma non i clienti che possono sedersi al massimo in quattro per tavolo, i tavoli devono essere distanziati.
Come si aspetta che cambierà il bar nel breve e medio termine?
Penso che certe cose cambieranno ma non il desiderio di bere il caffè al bar. Ci sarà più attenzione sul modo in cui è servito e su come trattare le infezioni: potrebbe esserci la seconda onda del Sars-Cov-19 o un nuovo virus l’anno prossimo ma sarà una situazione con la quale dovremo convivere. Ci sarà il distanziamento tra persone, il barista dovrà disinfettare le mani ogni volta e indossare una mascherina, mettere la tazzina sul banco e fare un passo indietro in modo che ci sia abbastanza distanza con il cliente, bisognerà riorganizzare lo spazio, le tazze dovranno essere poste lontano dai clienti e sarà necessario disinfettare le porte, tutto per evitare contaminazioni.
Quali sono le conseguenze del Covid 19 su tutta filiera, dal campo alla tazza?
Abbiamo avuto un meeting del board SCA con 18 direttori e tutti hanno detto che il virus ha avuto un forte impatto sulle loro vite, dai coltivatori ai distributori ai torrefattori. Sicuramente le conseguenze si sentiranno per i prossimi anni. I bar sono chiusi, i baristi non hanno un lavoro e in molti Paesi non percepiscono reddito. Ma anche la supply chain è ferma: ci sono molte navi in Africa che non riescono a entrare nei porti chiusi e problemi nella distribuzione e nella logistica che consente di trasportare il caffè.
C’è già carenza di caffè?
Non al momento ma bisogna ricordare che c’è un ritardo dalla produzione alla vendita, i torrefattori hanno il caffè ora ma tra qualche tempo ci aspettiamo carenze, non basterà che riaprano i bar, le conseguenze saranno più durature. I farmer con il lockdown hanno problemi a trovano lavoratori per il raccolto. Chi coltiva caffè specialty, un prodotto di qualità superiore, teme che il mercato crollerà perché molte piccole caffetterie, la base del mondo specialty, sono chiuse, molti ordini sono stati cancellati e non sanno a chi riusciranno a vendere il loro caffè e se saranno costretti a vendere ai prezzi della borsa del caffè [ai minimi storici, ndr].
Dunque mancherà il caffè?
Sì ci aspettiamo carenze di caffè dai produttori, o perché il caffè si troverà nei Paesi produttori ma la logistica non sarà in grado di raggiungere i Paesi consumatori. Ci saranno effetti di lungo termine sull’economia.
I coltivatori che grazie alla qualità dei raccolti riuscivano a spuntare prezzi dignitosi potrebbero subire la crisi tanto da decidere di passare a coltivazioni più redditizie. E noi dove troveremo il nostro oro nero? Foto courtesy SCA.
C’è qulcosa che può fare il consumatore-coffeeholic?
Speriamo che la gente torni a consumare caffè anche al proprio bar appena possibile. Poi c’è l’e-commerce cui stanno lavorando le piccole realtà, ci sono tantissimi video sui social che spiegano come farsi un buon caffè a casa, vedo ritornare pratiche come ad esempio la moka in Italia o Chemex o Aeropress, e vedo un boom delle preparazioni di caffè specialty a casa grazie a questi video corsi online e alla vendita di caffè online.
Per ora è partito il take away, prenderà piede in Europa?
Anche se economicamente non è sufficiente a sostenere un bar, è un ponte verso la riapertura che consente di riportare la gente nel locale. Sappiamo che non sarà una soluzione, in Cina e negli Stati Uniti fa parte dello stile di vita, abbiamo analizzando la possibilità di importare in Europa alcune pratiche legate al take away ma qui non c’è questa cultura, noi siamo abituati alla tazza di ceramica, la mentalità è diversa anche se intravedo la possibilità di utilizzare l’asporto per brevi periodi, magari con pagamenti contactless o via app: leggi un codice QR e paghi direttamente in modo che i tempi di sosta al bar si accorcino. Potrebbe essere un’opzione interessante per le persone che sono molto preoccupate o per le categorie a rischio. Non penso che alla lunga cambieremo le nostre abitudini ma nel breve termine, finché ci sarà la preoccupazione di infettarsi, mi sembra un’opzione interessante
Certo che ai bicchieri di carta per bere caffè non siamo proprio abituati..
Per i veri connoisseurs la carta influenza il gusto, per non parlare della sensazione di carta sulla bocca. Ma c’è anche un problema di creazione di rifiuti delle tazze usa e getta che è un aspetto molto importante da considerare.
La cultura del bancone del bar italiano soffrirà?
Penso che l’abitudine di prendere il caffè al bancone rimarrà, anche se bisognerà starsene lontani per un po’. Voi italiani siete abituati a entrare e uscire dal bar velocemente, ci saranno modi per risolvere questo aspetto. Con l’arrivo dell’estate sarà piacevole stare all’aperto a bere caffè, in inverno sarà tutto più complicato.
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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