Andrej Godina, coffee expert, viaggia nella filiera del caffè per svelare dove, come e perché ciò che potrebbe essere una bevanda meravigliosa e complessa diventa sciatta e di bassa qualità. Nella prima puntata parliamo del torrefattore.
Siamo davvero i detentori dell’ortodossia dell’espresso? Come mai in tanti nostri bar, ristoranti e anche case si bevono caffè difettati, bruciati, amari, tollerabili solo dopo averli addizionati con una generosa dose di zucchero? Andrej Godina, SCA Authorized Trainer, Caffesperto, Master barista e Dottore di Ricerca in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del caff rileva cattive pratiche e pessime tradizioni nelle varie fasi della filiera. Per capire dove le cose possono andare male, e come si può migliorare.
La filiera di produzione del caffè è molto lunga, non solamente perché i Paesi di produzione sono geolocalizzati nella fascia tropicale del pianeta a migliaia di chilometri di distanza da noi, ma anche perché dalla fioritura della pianta sono necessari dai 10 ai 12 mesi per avere il prodotto finito nelle nostre cucine o nei bar per l’erogazione.
In questo lungo viaggio un anello importante della catena di produzione è il torrefattore. Il caffè è esportato dai Paesi di produzione ancora crudo, è detto caffè verde, ed è tostato nei Paesi di consumo. La tostatura è definita come il trasferimento di calore al chicco in un determinato periodo di tempo. Durante la tostatura il chicco si trasforma da un punto di vista chimico e fisico: in particolare si formano centinaia di nuovi aromi volatili che fanno dell’espresso una delle bevande aromaticamente più complesse in assoluto.
Il mondo del caffè è simile a quello del vino! Esistono due specie botaniche coltivate [Arabica e Robusta, ndr], centinaia di varietà differenti, più di 80 Paesi produttori, terroir e micro climi in grado di produrre qualità di tazza differenti e diversi metodi di processamento dei chicchi. Un mondo variegato che permette, alla stregua di quello del vino, di raccontare storie differenti e una moltitudine di caratterizzazioni sensoriali.
Come in tutte le merceologie, anche nel mondo del caffè ci sono due facce della stessa medaglia: la prima che racconta una storia di grande qualità, di differenziazione, di know how degli operatori, di un pubblico culturalmente formato alla qualità; la seconda faccia rappresenta un universo fatto di bassa qualità, di materia prima difettata, di processi di tostatura troppo spinti che bruciano i chicchi, di consumatori che non sono stati educati a distinguere le differenze e per i quali “un caffè è solamente un caffè”. Noi italiani, sfortunatamente, apparteniamo a questa seconda faccia del mondo del caffè. Ma chi ne è responsabile? In primis, perché è il primo anello della catena di produzione del caffè nei Paesi consumatori e responsabile della lavorazione del chicco crudo, c’è il torrefattore.
L’Italia è un paese atipico rispetto gli altri Paesi consumatori, fino a una ventina di anni fa c’erano più di mille torrefazioni sparse su tutto il territorio nazionale, oggi il numero si è ridimensionato a poco meno di 700. Tantissime aziende hanno abituato il consumatore italiano a una qualità medio bassa. Le torrefazioni italiane sono in genere aziende storiche, tramandate da tre o quattro generazioni: in questi passaggi generazionali hanno investito solamente in azioni commerciali, in finanziamenti ai bar, in impianti di tostatura ma senza approfondire la conoscenza della materia prima e le reazioni chimiche alla base della tostatura.
Per questo motivo il torrefattore non ha mai avuto la convenienza a fare formazione e cultura alla qualità al consumatore in quanto il caffè tostato è semplicemente un prodotto da usare per vendere finanziamenti ai bar e riempire gli scaffali delle catene dei supermercati al prezzo più basso. Così facendo le torrefazioni si sono rese responsabili del fatto che il consumatore medio italiano non sa nulla di caffè: differenza tra Arabica e Robusta, identificazione dei difetti aromatici più comuni, riconoscimento di un caffè processato naturale o lavato, preparazione a casa del caffè con diversi metodi di preparazione, filtro compreso. Pensiamo alle campagne pubblicitarie in televisione dei marchi medio grandi del mondo del caffè espresso Italiano: balzano immediatamente alla mente attori e presentatoti TV, Paradisi e Inferni e qualche modella di grido poco vestita. Tutto questo per avere un mercato che propone al cliente una tazzina di espresso allo stesso prezzo, 1 euro. Il messaggio che il comparto del caffè italiano dà al consumatore è che “un caffè è un caffè”, che sia una miscela 100% Arabica di pregio, o una miscela Arabica-Robusta, o una miscela con grandi difetti aromatici, il prezzo è il medesimo, 1 euro!
Come uscire dal girone infernale che l’industria italiana del caffè ha confezionato per noi consumatori? Una soluzione c’è: informarsi, frequentare un corso base di avvicinamento al caffè, iniziare a riconoscere i difetti nell’espresso, lamentarsi con il barista e il ristoratore per la pessima qualità di tazza e iniziare a selezionare solamente quei locali in grado di dare un caffè di elevata qualità, raccontandolo come fa un sommelier quando consiglia un vino al proprio cliente. A casa è buona regola dotarsi di un macinacaffè, comprare il caffè tostato in grani dal proprio torrefattore di fiducia e preparare il caffè con una macchina espresso, la napoletana o in filtro.
Nelle prossime puntate procederemo con la disamina. La filiera è ancora lunga e comprende il barista, il ristoratore, ma anche giornalisti e consumatori…
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