Esclusivamente Arabica, cresce per il 90% al riparo dal sole e può arrivare a 2200 metri di altitudine.
Il risultato? Basse acidità
e grande complessità. Una origine da conoscere meglio
Se l’altitudine fa bene al caffè, specie in tempi di cambiamento climatici, allora si capisce come il Perù, Paese dove alcune piantagioni si spingono fino ai 2200 metri, abbia fatto parecchia strada negli ultimi anni, e probabilmente ne farà anche di più.
Anche se il Paese andino non è certo il primo che viene in mente quando si pensa al caffè, in realtà è il terzo produttore mondiale di Arabica e il primo, insieme al Messico, di caffè certificato. L’abbiamo scoperto alla masterclass organizzata da PromPerù e condotta da uno spumaggiante (e giovanissimo) Jesè Navarro, Presidente di Cafè Los Andes, un distributore che lavora sul mercato svizzero e italiano.
Varie le curiosità che riguardano il caffè peruviano: lungo una dorsale di 2500 chilometri viene coltivato in 13 delle 24 regioni del Paese unicamente la varietà Arabica, la più pregiata rispetto alla andante Robusta. La Typica è la sottospecie più diffusa. Come nella maggior parte dei Paesi si tratta di piccoli produttori: 223mila famiglie che coltivano 425.400 ettari si terreno.
“Il caffè si avvantaggia della varietà di microclimi: in una unica valle ce ne possono essere fino a 35. Si coltiva sul versante occidentale delle Ande che guarda verso la foresta Amazzonica, la selva, dai 500 ai 2200 metri sul livello del mare (quest’ultimi sono microlotti, ad esempio c’è un unico produttore che ha il permesso di coltivare a Machu Picchu)” ci dice Navarro. Soprattutto, è contraddistinto da una bassa acidità anche ad alte attitudini – il che piace agli italiani, che di caffè acidi ne fanno generalmente a meno, perché lontani dalla tradizione della tazzulella.
Questo Paese dalla biodiversità straordinaria è insomma adatto anche alla crescita del chicco di Coffea Arabica. Non solo: il 90% delle coltivazioni avviene all’ombra, con un doppio vantaggio: le piante più alte proteggono quelle di caffè dai raggi del sole e, essendo coltivate in boschi e foreste, non danneggiano la biodiversità e l’ambiente tramite deforestazione.
La regione più “frequentata” dalle coltivazioni è il Nord con il 43% della produzione nazionale mentre il Centro copre il 34% e il Sud il 23%.
Nel corso della degustazione abbiamo quindi provato grazie al trainer SCA Alessandro Bresciani due caffè del Perù centrale, uno specialty torrefatto dalla milanese Lot Zero e un commerciale, con tre metodi di estrazione: V60, Aeropress ed espresso con capsule compostabili.
L’Arabica peruviana rispetto alla africana ha un’acidità, dicevamo, assai meno spiccata, il che risulta piacevole, specie nella estrazione in espresso. L’Aeropress rispetto al V60 fa emergere i sentori di cioccolato amaro e fondente
Negli ultimi anni in Perù sia il Governo sia i produttori hanno puntato sulla specializzazione e la qualità, favoriti da un territorio predisposto a produrre caffè specialty.
Biologico, certificato, sostenibile, di qualità. Forse è il caso di iniziare a conoscerlo meglio, il caffè peruviano. Come si diceva una volta: chiedete al vostro barista o torrefattore di fiducia!
Anna Muzio
Giornalista
Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.
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