Il caffè è uno dei principali prodotti del mercato equosolidale. Quello che si fregia del marchio Fairtrade è andato bene nel 2019, poi è arrivata la battuta d’arresto del Covid
Buono due volte. È il caffè Fairtrade, quello “equo”, commerciato secondo canali che valorizzano la sostenibilità ambientale, economica e sociale di chi lo produce. Un business che in Italia nel 2019 ha “fatturato” 320 milioni di euro, che corrispondono alla cifra spesa dagli Italiani per acquistare prodotti contenenti almeno un ingrediente Fairtrade. A fronte di questo tesoretto è stato corrisposto un premio di 2,5 milioni alle organizzazioni di tre continenti (Asia, Africa e America Latina) che costituisce il margine di guadagno con il quale le organizzazioni stesse possono avviare progetti di emancipazione delle comunità o che possono investire nella produzione. Un “fee” che si aggiunge al prezzo stabile garantito dal circuito del commercio equosolidale alle organizzazioni, ciò che li mette al riparo delle fluttuazioni del mercato, talora imprevedibili e disastrose.
Il caffè costituisce una delle voci principali di questo mercato alternativo, parallelo a quello governato dalle mere leggi di mercato e rispetto a questo più etico. Le 871 tonnellate di caffè verde vendute nel 2019 fanno registrare un aumento del 3 per cento rispetto all’anno precedente. Numeri buoni, che però per il 2020 dovranno tener conto delle conseguenze del lockdown sull’economia globale. Ancora di più nel caso del caffè, bevanda tradizionalmente legata al consumo fuori casa. Non sono ancora disponibili i dati legati al secondo trimestre del 2020, quello più colpito dalle conseguenze del lockdown, ma Fairtrade Italia si aspetta un valore decisamente negativo, visto che le vendite online, decisamente incoraggiate durante la “quarantena collettiva” che abbiamo vissuto, non sono in grado di compensare il calo delle vendite “in presenza”. Oggi le torrefazioni certificate Fairtrade segnalano che i consumi di caffè sono ripartiti e si stanno ristabilendo a livelli se non uguali molto vicini a quelli pre-Covid. A soffrire di più al momento sono le città e le zone ad alta vocazione turistica, che registrano consumi molto bassi sia a causa della scarsità di visitatori sia a causa del fatto che molti hotel sono ancora chiusi.
Non è molto differente il quadro per il mercato mondiale del caffè Fairtrade, che secondo il decimo rapporto Fairtrade International, coinvolge 582 organizzazioni che a loro volta rappresentano 762.392 coltivatori in 32 Paesi, concentrati per lo più in due aree, l’America Latina e i Caraibi da cui arriva l’86 per cento di tutto il caffè equosolidale. L’importanza del caffè nella filiera Fairtrade si comprende pensando che il 50 per cento degli agricoltori equosolidali produce caffè e che i coltivatori Fairtrade di caffè ricevono ogni anno 84 milioni di euro di premi. Inoltre il 18 per cento dei coltivatori di caffè equosolidale sono “coltivatrici”, ovvero donne. Altri numeri: 938.158 sono gli ettari destinati alla produzione di caffè “Ft” (il 10 per cento in meno del 2016), 214.335 le tonnellate di caffè venduto come fairtrade.
I Paesi con la maggiore produzione di caffè faitrade sono, in termini di valore, Perù, Honduras, Colombia, Brasile e Nicaragua. Il primo Paese non americano è l’Indonesia, al settimo posto, poi l’Etiopia nona. In termini di consumo invece prevalgono Gran Bretagna, Paesi scandinavi, Germania, Svizzera e Danimarca.
Foto Fairtrade Italia
Andrea Cuomo
Giornalista
Inviato del Giornale e collaboratore di diversi periodici nel settore wine&food
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