Come l’attacco a sorpresa sferrato dai Viet Cong durante la guerra del Vietnam, la semplice ricetta comfort diffusa nel Paese indoeuropeo sta conquistando la coffee culture americana.

Paese che vai caffè che trovi, questo ormai l’abbiamo capito. Prendiamo il Vietnam, secondo produttore mondiale. Certo, non viene in mente il caffè quando si pensa al Paese indocinese come quando si nomina il Brasile, il Sud America o anche l’Etiopia. Eppure i dati parlano chiaro: nell’annata 2019-20 ha prodotto 30.487.000 sacchi (da 60kg). Secondo solo al Brasile, appunto. Peccato che il 97% della produzione sia coperto dalla meno pregiata Coffea Canephora, anche detta Robusta, usata per lo più per il caffè solubile dalle grandi industrie. Eppure qualcosa sta cambiando sotto i cieli tropicali di uno dei Paesi più interessanti e vivaci dell’Estremo Oriente.

 

Cà phê sua đá, appuntatevi questo nome

Molto prima del Cold Brew, i vietnamiti avevano ideato un modo tutto loro di bere il caffè. Che sta guadagnando grande popolarità anche fuori dal Paese, attraverso ristoranti vietnamiti ed expat andati a lavorare soprattutto negli Stati Uniti. Il motivo? È nuovo (per l’Occidente), discretamente fotogenico e moderatamente libidinoso, con quella punta dolce che non può mancare in quei comfort food che, oggi più che mai, in tempi grami, ci garantiscono quel minimo di conforto.

Cà phê sua đá (prosaicamente, caffè con latte in vietnamita) non esiterebbe senza i francesi, per ben tre motivi. Prima di tutto furono proprio gli (odiatissimi) colonialisti a introdurre il caffè nel Paese, che dominarono dal 1857 al 1954. Originario dell’Etiopia, era già coltivato in Indonesia nel Seicento, ma in Vietnam fu introdotto a metà Ottocento dai missionari francesi. Le prime piantagioni di Arabica furono installate nelle zone montagnose del Nord del Paese, mentre la Robusta fu introdotta agli inizi del Novecento, ma si diffuse con grande successo negli altipiani centrali.

Reminescenze francesi si trovano anche nello strumento usato per l’estrazione: un filtro di alluminio detto phin che si piazza direttamente sopra la tazza ed è una sorta di incrocio tra un V60 e una French Press.

Il caffè è tipicamente una Robusta, tostata scura per neutralizzare quegli aromi non proprio piacevoli di terra, legno e idrocarburo. Tostato scuro = amaro. E come si fa ad arginare tanta amarezza? Con del buon latte, zuccherato e concentrato. Dato che il latte in Estremo Oriente è assai poco diffuso, è lecito pensare che l’idea di utilizzarlo venne proprio ai francesi, reminescenti del loro café au lait. E, date le difficoltà di trasporto dall’Europa e la shelf life parecchio limitata, il latte condensato sembra una scelta logica. Inventato dall’americano Gail Borden Jr nel 1853, si diffuse in Vietnam durante la Prima Guerra Mondiale quando, dovendo rimpatriare 7000 soldati, furono espulsi commercianti tedeschi dal Paese e alcuni beni alimentari, come il latte condensato, furono venduti a prezzi calmierati: da qui la loro popolarità e diffusione.

I francesi non lasciarono un buon ricordo di sé, ma promossero la cultura delle caffetterie come luoghi di ritrovo: ce ne sono di numerose ad Hanoi, Hoi An, Ho Chi Minh City, tanto da far dimenticare come qui, come in Cina, fino a cent’anni fa la bevanda d’elezione era il tè. I francesi influenzarono anche la deliziosa cucina vietnamita, che coniuga mirabilmente sapori orientali con tocchi d’Oltralpe.

Dall’alto, un filtro phin, l’interno di The Workshop, esponente di spicco della crescente scena specialty di Ho Chi Minh City, un caffè vietnamita in bottiglia e l’originale caffè all’uovo del Giang Café di Hanoi (foto 1 e 4: Creative Commons), 

Come fare un caffè vietnamita (con o senza uovo)

I tutorial online spopolano quindi la facciamo breve. Volendo fare i precisi il phin, il filtro per caffè vietnamita, si trova facilmente online per pochi euro. Non richiede l’uso di filtri di carta, quindi è assai economico e sostenibile.

Il caffè, macinato piuttosto grosso, è bene sia piuttosto corposo, una miscela arabica-robusta per espresso per espresso può funzionare.

Prendete un bicchiere (per la versione fredda, la più diffusa) o una tazza e versatevi due dita di latte condensato. Se avete un filtro vietnamita mettete due-tre cucchiai di caffè, versate l’acqua bollente e lasciate il caffè cadere goccia a goccia nel bicchiere. Girate con un cucchiaino, aggiungete ghiaccio ed ecco ul vostro caffè vietnamita ghiacciato.

Disclaimer: caffè e latte condensato non sono una novità stratosferica, ne siamo consapevoli. Nei Paesi caldi, dalla Spagna al Sud America, il latte condensato era spesso l’unico modo di bere il latte, e la tradizione è rimasta. Il caffè salentino con latte di mandorle è più buono? Probabile. Sta di fatto che il caffè vietnamita, imbottigliato in stilosissimi contenitori di design, sta conquistando gli americani, sull’onda del successo del Cold Brew- È anche disponibile anche in vari gusti, dal cocco all’immancabile macha. Qualche nome? Omni Bev Vietnamese Cold Brew Coffee, Caphin, Len’s Coffee.

Se volete fare sul serio gli originali, per voi c’è il cà phê trứng, il caffè vietnamita all’uovo. Sbattete il tuorlo dell’uovo con latte condensato per 5 minuti o fino a creare una sorta di spuma, che verserete sul caffè, freddo o caldo. L’origine? Pare che l’idea sia venuta nel 1946 ad Hanoi a tale Giang, bartender del Metropole Hotel, che visto il successo negli anni ‘50 aprì una caffetteria con il suo nome, ancora esistente.

Anna Muzio

Giornalista

Da vent’anni scrivo nell’incrocio tra turismo, food e attualità per testate di settore e non.

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